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Spettacolo di Moni Ovadia:

 

Moni Ovadia, musicista, cantante, attore e autore. Famiglia ebraica, nasce in Bulgaria nel 1946 a Plovdv ma si trasferisce poi a Milano dove si laurea in Scienze politiche e incomincia la sua attività artistica di cantante e musicista nel gruppo dell’”Almanacco popolare”. Nal ’72 fonda il gruppo folk internazionale, che nel 1975 diventa “Ensemble Havadi”. Nel 1984 l’incontro con il teatro di Franco Parenti e l’inizio della ricerca artistica che lo porta al Teatro musicale e che gli farà vincere il prestigioso premio Ubu del ’96. Con Bompiani ha pubblicato il libro”Perché no?”.

 

Un ospite d’eccezione che ha incontrato Ramzi e il suo progetto a Ramallah, sarà presente al festival per sostenere Al Kamandjati, divertirci e incantarci con il suo spettacolo intitolato “Cabaret Yiddish” lunedì 4 giugno ore 21.00 in Corso Racconigi (angolo Corso Peschiera).
*In caso di pioggia l’evento sarà spostato al coperto presso il tendone dell’Oratorio San Paolo di Via Luserna di Rorà 16*

**Leggi la testimonianza di Moni Ovadia quando è andato a incontrare Ramzi. clicca qui**

Inoltre sarà presente al Convegno “Il Teatro e la musica strumenti di pace” di lunedì 4 giugno alle ore 17,00 Aula Magna 3 di Palazzo Nuovo a Scienze della Formazione, Via Sant’Ottavio 6
L’esperienza in Palestina del Progetto Al Kamandjati. Partecipano Moni Ovadia, Ramzi Aburedwan, Henry Brown, Nicola Perugini dell’Università degli Studi di Siena.

Cabaret Yiddish:
La lingua, la musica e la cultura Yiddish, quell’inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno, la condizione universale dell’Ebreo errante, il suo essere senza patria sempre e comunque, sono al centro di “Cabaret Yiddish” spettacolo da camera da cui è poi derivato il più celebre Oylem Goylem.
Si potrebbe dire che lo spettacolo abbia la forma classica del cabaret comunemente inteso. Alterna infatti brani musicali e canti a storielle, aneddoti, citazioni che la comprovata abilità dell’intrattenitore sa rendere gustosamente vivaci. Ma la curiosità dello spettacolo sta nel fatto di essere interamente dedicato a quella parte di cultura ebraica di cui lo Yiddish è la lingua e il Klezmer la musica.
Uno spettacolo che “sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe”. Tutto questo è ciò che Moni Ovadia chiama “il suono dell’esilio, la musica della dispersione”: in una parola della diaspora.
La musica Klezmer deriva dalle parole ebraiche Kley Zemer, che si riferiscono agli strumenti musicali (violino ed archi in genere e clarinetto) con cui si suonava la musica tradizionale degli Ebrei dell’est europeo a partire all’incirca dal XVI secolo.

ALCUNE FOTO DELLA SERATA (foto di Massimo Pagano)

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